Diversità e Disabilità, alle radici del bullismo

Di Filippo Agnelli

Di Claudia Maiolo

Spesso si associa ad una persona con delle disabilità l’aggettivo “diverso”, col risultato che quella persona si sentirà ciò che non è, ovvero diversa.

Diverso perché? Diverso da cosa? Diverso da chi?

Eppure basta uno sguardo, un ghigno, a far sì che quella parola prenda forma, e allora sì, ci si sente diversi.

Diversi per qualcosa che non abbiamo scelto noi, diversi al punto di pensare “perché a me?” Diversi quando, per colpa di quello sguardo, di quel ghigno, non si accetta più quel problema, che fino a quel momento non è stato percepito come tale.

La straordinarietà dei bambini piccoli è che non vedono alcuna differenza tra loro, è solo attraverso l’influenza dell’adulto che la loro percezione cambia: un genitore – nel bene o nel male – è in grado di plasmare il proprio bambino.

Alcuni genitori forse non si rendono conto, ma con il proprio atteggiamento crescono il bulletto che domani ferirà il proprio compagno di scuola. Se qualcuno un giorno glielo farà notare, si ritroverà davanti a una persona incredula, che non ammetterà l’errore, a cui verrà difficile trovare il coraggio di fare un tuffo nel passato e fare autocritica, ma sta di fatto che quel bambino, quel bulletto è soprattutto opera loro. Quindi, genitori, il primo applauso va a voi!

Ho vissuto il bullismo sulla mia pelle, e a scuola quasi li te lo aspetti: ti aspetti il compagno di classe che ti prende di mira, ti aspetti i compagni più grandi fare i gradassi con i piccoli. Ma non ti aspetti certo l’insegnante che, nel momento in cui ti presenti porgendo la mano, ritrae la sua con uno sguardo a metà tra lo schifo e la compassione, e quello sguardo fa più male del bulletto di turno: chi dovrebbe proteggerti da certi atteggiamenti è invece egli stesso il bullo.

Il bullismo si manifesta in varie forme, e parte da lontano, ma il punto d’arrivo è sempre la discriminazione. Il solo fatto di fare sentire inadeguata una persona, tanto da farla vergognare di come è, (e non parlo unicamente del disabile, ma anche del normodotato che per qualche peculiarità si discosta dal concetto di normalità), fa sì che si insinui un tarlo nella testa, che porta a dubitare delle proprie capacità, facendoti sentire sbagliato.

La gentilezza è gratuita e non ha mai fatto male a nessuno, avere un minimo di tatto con chiunque ci circondi non può portare a nulla di male, ma solo a del bene.

La nostra vita è un boomerang e il bene che si fa ritorna sempre. Però non si può pretendere, non si può predicare bene per poi razzolare male: quindi impariamo ad essere la versione migliore di noi stessi, impariamo a trattare chi ci circonda come vorremmo essere trattati, così che potremo lasciare qualcosa di buono per le generazioni future.

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